SPELEO-RACCONTO: "Grotta delle mie brame"
Questo speleo-racconto l'ho scritto nel 1996 e pubblicato
poi sul periodico "Speleologia", n° 37.
Così ho pensato di riproporlo anche in queste pagine, in modo da dare
la possibilità a chi non conosce il suddetto periodico di poter conoscere
questo mio simpatico racconto...
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Speleo-racconto_Grotta_delle_mie_brame.pdf
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"Libera", urlò Giorgio appena
uscì dal pozzo, l'ultimo della grotta e l'ultimo della giornata; "Li-be-rah".
"Oh-key", risalì echeggiando la voce di Paolo.
La parola "libera" è la più conosciuta e adoperata dagli
speleologi; indica una cosa molto semplice e che tutti, in risalita vorrebbero
sempre sentire quanto prima: "la corda è libera, puoi cominciare
a risalire". Finalmente.
Seguì subito dopo un ritmico sibilo accompagnato da un secco scricchiolio
prodotto dal metallo a contatto del nylon della corda statica.
Infine uscì Claudia più affaticata di loro. "Basta, nel Buco
del Drago non ci tornerò mai più", sentenziò decisa
appena staccò gli autobloccanti dalla corda.
"E perché mai?! Proprio ora che la grotta potrebbe andare avanti?",
piuttosto sorpresi risposero quasi all'unisono.
"Ma come? Non vi siete accorti di nulla, oggi?" disse sgranando gli
occhi, "ma è la terza volta che avviene un crollo da quando è
stata scoperta. E voi fate finta di nulla! Mah... E poi quelle correnti d'aria
dal comportamento alquanto strano, quei continui cambi di direzione e di verso
piuttosto repentini. Ben tre inversioni in 15 ore! Come lo spiegate?"
"Beh, ora calmati, adesso siamo fuori; vedrai che ti passerà"
fece Paolo con aria paterna. "Oh certo, capisco, è da cinque mesi
che non ti metti la tuta, ma non è il caso di esagerare in questo modo,
non trovi...", intervenne prontamente Giorgio con voce canzonatoria. "Sai,
ogni tanto, qualche semplice e sporadica caduta massi può sempre succedere,
soprattutto in un settore dell'altopiano come questo, dalla tettonica estremamente
disturbata; e tu, aspirante geologa, dovresti ben sapere!".
Ma..., ma, è incredibile, io vi sto dicendo che la grotta mi sembra,
come dire... ah si, viva; questa è proprio la parola giusta, e voi...
voi mi zittite. Proprio non vi capisco a volte!"
"Ehi Paolo, ma hai mai sentito parlare di una grotta viva? Forse, ma proprio
forse, in tivù! Ah! Ah!", ridacchiò Giorgio quasi divertito
dalla nuova teoria speleogenetica della grotta. Sì, Claudia, anche se
la speleologia non era tutto per lei, era però in grado di discutere
di speleogenesi, carsismo profondo, meteorologia ipogea e via dicendo. Era iscritta
al terzo anno di geologia ormai da due anni, anche se non sembrava.
Tra i rumori di ferraglia dell'attrezzatura, Paolo ricordò agli altri
che era meglio sbrigarsi e che non si sarebbe arrivati alla macchina prima di
mezzanotte. Questo suo cambiar discorso era finalizzato semplicemente a prevenire
discussioni, ad evitare che la situazione degenerasse; spesso però questo
suo atteggiamento era scambiato per menefreghismo.
Durante il ritorno, nonostante i ripetuti e potenti colpi di sonno, dovuti ad
una cena di due giorni prima, Giorgio non faceva che pensare alla strettoia
che li aveva bloccati.
"Cristo, mancavano tre quattro metri e poi era fatta", continuava
a ripetersi "una saletta, chi la sperava ormai più?".
Comunque il sonno era forte e poco ci mancò che si addormentasse camminando,
con lo zaino di 22 kg sulle spalle.
Nei giorni che seguirono per Giorgio fu dura: gli tornava in mente, sotto una
luce sinistra, quasi di premonizione, ciò che Claudia aveva detto: effettivamente
la grotta qualche volta era proprio strana. Tormentato da questo fatto, come
se fosse un incubo da vivere e subire ad occhi aperti, non riuscì a concentrarsi
nel lavoro. Ma quella sera il sonno invadeva ogni parte del suo cervello., D'altra
parte, come ogni speleologo che si rispetti, avrebbe voluto che fosse già
arrivato sabato proprio per andare in grotta. A raffreddare il suo animo ardente
di conoscere, di esplorare, si aggiungevano i consigli di altri suoi amici:
rinviare la spedizione. Il meteo non prometteva nulla di buono, se non l'inizio
delle nevicate, proprio in quel week-end. Non era poi il caso di rischiare di
farsi sorprendere all'uscita della grotta da una bufera di neve, magari quelle
che durano più giorni, bloccando persino le temerarie squadre del Soccorso
Speleologico.
Tutte cose, queste, che rendevano difficile ogni scelta: era l'ultima occasione
prima dell'inverno. Il magazzino, il venerdì sera, fu teatro della decisione
da prendere: andare o rinunciare!
"Allora Paolo, che ci potrà servire quando saremo nella saletta?
Una corda da 50 metri o due da 40, eh?" esordì Giorgio deciso, ma
anche sottilmente provocante.
"Ah no, non ci servirà niente di tutto questo"
"E perché mai, sentiamo?"
"Semplice, tanto domani la sveglia la metterò alle nove! Sarà
una bella dormita, davvero sai" rispose Paolo "Chi mi da torto, ragazzi?",
rivolgendosi poi a quei pochi rimasti presenti in magazzino. "Eh daje,
sei un coniglio, non puoi tirarti indietro proprio ora che possiamo fare il
colpo plateale", Giorgio continuò con lo stesso tono provocatorio...
"E da tanto che aspetti l'abisso, non è così?", e il
punzecchiamento proseguì.
"Sì, sì, hai anche ragione, però gli strani movimenti
dell'aria han turbato i miei sonni", sospirando, "Sai, Claudia domenica
mi sembrava piuttosto spaventata, certo non te l'ho detto, ma temo che questa
volta forse abbia ragione.
"Giorgio, in grotta ho una voglia matta di andarci, e tu lo sai bene; però
essere nel Soccorso Speleo m'ha cambiato un po', mi fa rischiare di meno, rendendo
più acuta la percezione del pericolo
"Ah, certo, non vuoi rischiare nemmeno di trovare l'abisso!", l'interruppe
Giorgio bruscamente, sapendo dove sferzare il colpo successivo. "Bene,
allora se non vuoi venire ci andrò da solo! Peccato per te che non ti
divertirai ad esplorare!"
'Questo non lo puoi fare; in grotta mi piace andare, ma non in questo modo ..."
Paolo sapeva di aver perso, sapeva che certi discorsi lo portavano inevitabilmente
ad indossare la tuta e l'imbrago. D'altra parte Giorgio lo conosceva bene, aveva
imparato a fargli muovere le chiappe verso il piacere e il divertimento di andare
in grotta: a mali estremi, estremi rimedi. Arrivando a toccare certi tasti era
conscio di ottenere quello che voleva; il problema semmai era di vedere fino
a quando il sistema funzionava!
'Ho pure una bella sorpresa da farti, caro Paolo: penso proprio che con questa
scatoletta il Drago ci lasci passare, che ne dici?", fece Giorgio, passandogli
al volo una scatoletta metallica.
"Ehi, piano, cos'è? Ma non c'è scritto nulla; insomma dovrò
aprirla...", s'interrogò dubbioso Paolo, anche se non era difficile
indovinarne il contenuto. "Ah! Ma è esplosivo, e immagino anche
che sia al plastico; giusto?!"
"Esatto! Beh, speriamo che non ci fermino, altrimenti sai tu cosa ci aspetterà"
"Sì, sì, ci metteranno al fresco per un bel po' dei nostri
giorni. E poi vallo a spiegare tu al maresciallo
che noi alla domenica usiamo esplosivo per allargare le fessure ventose in fondo
ai buchi...", sospirò Paolo.
"Eh già
"
"Sono appena le nove, non credevo che arrivassimo così presto",
iniziò Paolo, respirando a pieni polmoni quell'aria gelida che si può
trovare in una mattinata nuvolosa di gennaio.
"Eh, eh", ridacchiò Giorgio, "il richiamo del buco è
forte", avendo in mente altre cose "Ah, passami due sacchi, che scendo
per primo".
Montò il discensore, ormai logoro per i chilometri di corda percorsa
e iniziò la discesa con velocità sostenuta, come era solito fare;
sosteneva che solo scendendo così si poteva assaporare tutto il piacere
che una calata come Dio comanda può dare. "Ehi, controlla la corda,
non si sa mai". Fece appena in tempo a pronunciare queste parole, Paolo,
che sentì venire su dal pozzo tutta una serie di bestemmioni. "Porca
puttana!", riuscì a dire alla fine, mentre inchiodava in modo talmente
brusco il discensore da far stridere le pulegge! "Ma porca puttana, qui
la corda è quasi tagliata. Chi è quell'imbecille che lesiona le
corde in questo modo?", s'interrogò Giorgio sapendo pure che l'imbecille
non era altro che una pietra bastarda staccatasi da qualche parte e che, con
tutto quello spazio disponibile, era finita proprio sulla corda. Invocando tutti
i santi che conosceva, isolò la lesione con un papillon, uno di quei
nodi di nuova concezione.
La discesa dell'abisso verso la fessura non fu più serena; nelle loro
menti rimbombavano sempre più furiosamente, quasi entrando in risonanza,
le parole di Claudia.
"Claudia, Claudia, se almeno fosse stata zitta, e non ci avesse tormentati
lungo il viaggio di ritorno di domenica scorsa, si starebbe meglio tutti quanti,
pure lei", sibilò Paolo, cercando nelle parole e nei movimenti di
fare meno rumore possibile. Prontamente Giorgio rincarò la dose: "Eh,
già, 'ste donne sono davvero facilmente suggestionabili, si agitano per
un nonnulla!".
In breve furono davanti all'ostacolo che li aveva fermati sei giorni prima:
sembrava, a guardarlo bene, una serie di diaframmi di roccia sin troppo sana,
uno dietro l'altro, ma un po' sfasati ...Per loro non era altro che una bella
strettoia lunga quattro metri al massimo che bloccava il passaggio poco prima
di una saletta, dove chiaramente gli ambienti riprendevano a diventare più
ampi e più profondi. Arrivati lì, subito tirarono fuori dai sacchi
il materiale da disostruzione e l'esplosivo al plastico, saltato fuori da chissà
dove, da quali giri malavitosi.
"Spero che non sia troppo potente, non vorrei mai che ci fossero altri
crolli", disse Giorgio, armeggiando con fare professionale la famosa scatoletta
di metallo; nonostante tutto, i suoi dubbi gli si leggevano chiaramente in faccia.
Mah, al massimo chiuderemo il passaggio e addio prosecuzione; incuneandoci nella
nicchia prima della frana, dovremmo essere relativamente al sicuro".
"Relativamente al sicuro...", gli fece eco Giorgio.
Vennero collocati in più punti l'esplosivo e i relativi fili elettrici
per alimentare il detonatore, una semplice resistenza da 1/4 di Watt, proprio
quelle che vengono usualmente impiegate nei circuiti elettronici.
E infine le cariche furono fatte brillare: la strettoia, quasi per una forza
magica, fu allargata nella misura sufficiente per lasciar passare una persona.
Contrariamente a quanto pensavano e forse intimamente speravano, per poi, sentendosi
in torto, dar ragione a Claudia e ai suoi consigli, ma di colossali crolli e
di frane interminabili non ci fu nemmeno l'ombra. Questo cominciava a dare loro
un po' di sicurezza e permetteva di continuare secondo la volontà di
scendere, scendere e ancora scendere verso mondi nuovi, verso profondità
sempre più vertiginose; era come se ricevessero una sorta di energia
che li faceva sentire più vivi, quasi più umani. A dire il vero,
il solito rumore di pietre che cadono qua e là in simili circostanze
ci fu, non subito, ma poco dopo, quasi che l'onda d'urto si propagasse molto
lentamente nella roccia che delimitava la grotta. Questo fu un particolare cui
non fecero poi così attenzione, rispetto a quanto avrebbero dovuto. In
breve si portarono al di là dei diaframmi e con loro le corde e il materiale
da armo. Effettivamente poco più avanti gli ambienti si allargavano e,
quello che contava di più, si approfondivano, sembravano lasciarsi dominare
dalla forza di gravità.
Un occhio nero li invitava a scendere per assaporare quei magici istanti che
andavano cercando. E subito Paolo, senza perdere altro tempo, raccolse il primo
sasso che vide e lo lanciò. "Uno, due... cinque, fondo! Oh sembra
un pozzo da 70, 80 metri, non male come inizio di un nuovo ramo", gridò
con due occhi che sembravano uscirgli dalle orbite per la felicità.
Giorgio intanto prese il martello e con esso colpì due moschettoni, che
teneva con l'altra mano, cercando di riprodurre il suono di un campanello di
quelli che si odono al principio e alla fine degli incontri di boxe. "Secondo
ed ultimo round, il Drago ha perso; gli speleo hanno vinto il match!".
Dopo questo rito, che qui mostrava tutta la sua natura sinistra e grottesca,
Giorgio prese nuovamente il martello e cominciò a batterlo sul punteruolo
per piantare spit. L'avventura ricominciava.
Tra gli assordanti rimbombi enfatizzati dall'ampiezza del pozzo, altri suoni
percussivi potevano essere uditi in quella sinfonia. "Fermo, che è
stato?", disse Paolo ad un tratto, rivolgendosi a Giorgio, bloccandogli
di scatto il braccio col quale teneva in mano il martello.
"Non ho sentito nulla".
"Sono caduti dei massi", insistette.
"Beh, probabilmente muovendomi ho scaricato giù per il pozzo dei
massi; non c'ho fatto caso!" "Ma li ho sentiti, dietro di me, da dove
siamo venuti
"Beh, non so che dirti; ora lasciami finire di piantare gli spit, poi vedremo
se cadono altri massi", e continuò a battere energicamente sulla
roccia. Tra un colpo e l'altro si udì ancora il rumore, questa volta
più chiaro, dei sassi che cadevano; suoni gravi e cupi, che si disperdevano
non solo nell'aria, ma anche, così almeno sembrava, dentro la roccia.
In realtà, ascoltando molto attentamente, si sarebbe potuto intuire che
i massi non cadevano, ma si muovevano tra di loro: insomma il rumore era quello
di un movimento roccioso.
'Accidenti, ora li ho sentiti anch'io", riprese Giorgio "spero solo
che il passaggio sia rimasto aperto, altrimenti non so quando il Soccorso Speleo
ci verrà a cercare.
"Fra tre giorni, sempre che non stia nevicando!", rispose Paolo con
una fredda precisione matematica. "Forse è meglio che vada a vedere
se nella strettoia è successo qualcosa. E porto qui anche il materiale
da disostruzione. Oh-key?!".
Poi il silenzio prese il sopravvento, rotto dai passi di Giorgio che avanzava
verso la fessura. Era un silenzio carico di tensione, proprio quelli che fanno
andare fuori di testa anche gli speleologi più tosti. Mentre il tempo
passava, si faceva strada l'idea che qualcosa di grave poteva essere accaduto,
per esempio che i diaframmi si fossero
"Oh, mio Dio, è pieno di sassi!" Lanciò poi un urlo
straziante, ma talmente forte che si spaventò e rimase come paralizzato
più per questo che per quello che vedeva!
"I diaframmi si sono chiusi. No, non è possibile: siamo bloccati...",
si disse. 'Paolo, siamo rimasti bloccati", continuò poi ad urlare,
"Paolo, vieni. Pa..."; dalla disperazione, le frasi gli morivano in
gola, facendogli uscire dalla bocca solamente un rantolo. Si agitava, provava
a muovere i sassi, i diaframmi, come lui stesso li aveva battezzati sei giorni
prima. Il cervello, dalla paura, dalla disperazione, dall'idea di dover rimanere
lì intrappolato per l'eternità, cominciava ad andare in cortocircuito;
i percorsi neurali entravano in uno stato di caos, il cui unico effetto era
di cogliere la realtà in modo distorto e irrazionale. Cercò di
girarsi per ritornare da Paolo, ma nella fretta, nell'agitazione, gli sembrava
che tutto intorno non ci fosse altro che roccia, roccia che prendeva il posto
dell'aria
Ad un tratto udì una voce, "ma, Giorgio, che succede?". Conosceva
quella voce, stranamente calma per tale circostanza, ma non riusciva a capire
di chi fosse. Di Paolo? E Paolo che fine aveva fatto, dov'era finito? Da quanto
sono qui, cominciava a chiedersi; forse che questo sia l'inizio della pazzia,
di quei tragici momenti, brevi e indolori per alcuni, o lunghi e tremendi per
altri, che precedono la morte? "Paolo, Paolo, per noi è finita,
non c'è più scampo; il Drago ci ha vinto, ha sconfitto la nostra
arroganza e volontà di voler dominare la natura". Mentre pronunciava
queste ultime parole con la forza che gli rimaneva ancora, sentiva che il suo
corpo veniva scosso, come per attirare la sua attenzione verso qualcosa di ignoto;
semplicemente non riusciva a capire cosa stesse succedendo, anche se il suo
pensiero andava alla roccia che ormai lo stava inesorabilmente avvolgendo.
"Sono qui, aiutatemi, vi prego, non voglio morire!", aveva formulato
con la parte del cervello ancora vigile: questo era ciò che voleva dire,
ma niente di intelligibile nuovamente gli uscì dalla bocca. "Ma
Giorgio, è mai possibile che tu faccia sempre così?!", queste
parole entrarono nella sua mente più di uno spit nella roccia.
"Dove sono, ma non sono in grotta", cercando di aprire gli occhi.
"Ma insomma, devi sempre pensare alle tue dannate grotte, anche prima di
fare all'amore con me?", gli chiese un po' spazientita e con tono canzonatorio,
Veronica, mentre si slacciava maliziosamente il reggiseno
(Pd, 1996)