TECNICA AVANZATA DI CORDA DOPPIA su cliff hanger.
Viene descritta una particolare tecnica utile per scendere in corda doppia in situazioni di emergenza. La particolarità riguarda il tipo di supporto su cui avviene la doppia: un gancetto da artificiale.
INTRODUZIONE.
L'arrampicata è spesso una incognita, con gradazioni
diverse a seconda delle situazioni; questo aspetto veniva enfatizzato molte
volte nell'alpinismo classico, epico.
E' una incognita dai caratteri piccoli e forse posta tra parentesi, nelle palestre
di roccia con gli spit, o più genericamente, con gli ancoraggi a breve
distanza tra di loro.
Diventa una incognita scritta minuscolo nelle strutture di una certa dimensione
collocate nei fondo valle, attrezzate a spit, fix, chiodi a pressione, chiodi
normali, ecc. Qui già bisogna stare attenti, pena la possibilità
di volare per un paio di metri, per esempio.
E' invece una incognita con l'iniziale maiuscola e, come ci insegnavano da piccoli
a scuola, dipinta di rosso, nelle vie di montagna, dove è necessario
fare affidamento alla propria preparazione tecnica, fisica e psichica.
Certamente è una incognita a caratteri cubitali e fosforescenti durante
l'apertura di una via nuova in ambiente alpino, dove ogni metro appena arrampicato
è un metro in meno di terreno sconosciuto. In realtà poi non è
proprio così, anche perché si sa già a priori su che difficoltà
ci si andrà a cacciare.
Premesso questo, nell'incognita è possibile sbagliare, anche se conviene
farlo raramente, sempre a seconda dei casi: dalla palestra in cui è consentito
(si ricordi a proposito il famoso motto, in voga anni fa: "Chi vola vale,
chi non vola è un vile" (!) ), fino alla montagna, dove non è
conveniente compiere passi falsi.
Come si sa, e certamente ogni arrampicatore avrà sperimentato sulla propria
pelle, dopo essersi cacciati in zone senza via d'uscita è ben difficile
che salire. Per ritornare sui propri passi, a questo punto ci sono diverse soluzioni,
tralasciando quella più sbrigativa: il volo controllato.
Se c'è una fessura si pianta un chiodo e si scende: o si lascia un moschettone,
magari per recuperarlo più tardi o, volendo, si usa un mio sistema impiegante
un cordino recuperabile, non ancora pubblicato su questo sito Internet, ma solamente
sul Notiziario del CAI di Padova.
Se invece si è meno fortunati, sarà un friend a permettere la
discesa, sperando nella sua tenuta! Nella preparazione della doppia, se il tempo
e le circostanze lo permettono, è possibile un mio sistema di recupero
descritto solamente sul Notiziario del CAI di Padova.
Se la sfortuna ci perseguita e ci ha dichiarato guerra ad oltranza (o, più
spicciamente, se siamo sfigati al massimo...), come "extrema ratio",
guardando bene la parete, è possibile scorgere qualche buchetto o qualche
reglettes per collocare il Cliff Hanger, che può essere di notevole aiuto.
Quello che è sicuro, nel suo eventuale uso, è che al termine della
ritirate, esso diventerà "santo cliff"!
LA TECNICA.
Anche in questa a dir poco tragica situazione, le
possibilità di discesa sono due, a seconda della morfologia della roccia.
Se troviamo una reglette o un buchetto superficiale in grado di ospitare il
cliff, al termine della calata, basterà ondeggiare la corda per recuperare
tutto, compreso il gancetto. Invece se c'è un bel buchetto o una solida
acquasantiera, il cliff rimarrebbe su, per quanto si cerchi di agitare la corda.
Tentare di recuperare il cliff può essere dovuto, per esempio, ad un
suo utilizzo nell'arrampicata artificiale in un'altra zona della parete, oppure
per prevenire altre situazioni analoghe (e remote, si spera!)
A questo ho pensato già da un bel po' di tempo, unitamente al fatto che
il cliff hanger è sempre appeso al mio imbrago alpinistico, ma soprattutto
quello speleologico.
Per recuperare il gancio metallico, sostanzialmente è necessario un qualche
cosa che lo sollevi dalla sua sede, in modo che infine salti fuori. E' possibile
arrivare a risolvere la questione ponendo una (vecchia) fettuccia di 28 mm di
larghezza e di 2 m di lunghezza piegata due volte tra la punta del cliff e la
roccia stessa. L'altro capo viene fissato ad un ramo della corda doppia avendo
l'accortezza di lasciare lasco il tratto di fettuccia posta in mezzo; questo
accorgimento vale anche per il recupero del cordino e del friend. Il nodo di
collegamento con uno dei due rami della corda doppia può essere effettuato
con un Prusik o qualche altro nodo autobloccante, anche se non consente un bloccaggio
sicuro (sperimentato involontariamente anni fa sulla pellaccia di chi scrive!!!)
o un Bulin, come già del resto si fa nel caso di recupero del chiodo
da ghiaccio. Al termine della calata si tira la corda su cui è annodata
la fettuccia, che entrando in tensione solleva il cliff e permette il recupero
di tutto il materiale.
Il fatto di piegare due volte il tratto di fettuccia assicura in ogni caso la
fuori uscita del cliff durante la sola fase di recupero. Probabilmente, penserà
più di qualcuno, sarebbe stato più comodo, anche per eseguire
un buon nodo sulla corda di calata, un cordino. Osservazione giusta, però
oltre ad essere ingombrante da collocare in un buchetto, può non rimanere
tra la roccia e il cliff, condizione necessaria per il recupero di quest'ultimo.
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In conclusione e per passare all'atto pratico di questa tecnica, è bene
che puntualizzi alcune cose che ora esporrò.
E infine, a tutti buon brivido!